ANNO 14 n° 120
Peperino&Co.
Quei silos
di Pianoscarano
di Andrea Bentivegna
16/07/2016 - 02:00

di Andrea Bentivegna

Certo non si può definire Viterbo una città ''industriale'' ma ipotizziamo per un attimo che lo sia e che si decida di costruire un nuovo impianto nel bel mezzo del centro storico. Una cattedrale di acciaio appoggiata tra gli antichi edifici di peperino e tufo. Fantascienza? No, anzi tutto questo esiste già, non c’è nemmeno bisogno di immaginarlo ma incredibilmente pur passandoci davanti ogni giorno nessuno sembra farci caso.

Siamo a Pianoscarano, per molti il vero cuore della città, il più autentico dei quartieri medioevali e su questo non si può che essere d’accordo. Lassù, oltre il fosso di Paradosso, dove le caratteristiche case contadine addossate tra loro a due passi delle antiche mura cittadine danno vita a questo rione tanto suggestivo.

Proprio lì, appena al di là della trecentesca Porta Fiorita, l’idillio architettonico viene improvvisamente squassato dall’inattesa lucentezza dell’acciaio Inox. Una decina di silos, alti come palazzi di quattro piani, assediano minacciosi come enormi Maristalle dei nostri giorni le mura di Viterbo.

Non un mostro ma semplicemente un molino. Un impianto destinato allo stoccaggio e alla macinazione del grano. Sorto in quel luogo nei primi anni Cinquanta, in una città uscita con le ossa rotte dalla guerra, a due passi da un quartiere contadino che pure non era stato risparmiato dalle bombe. Il simbolo insomma di una Viterbo che ripartiva proprio dalla ricchezza delle campagne.

Gli anni sono passati e le strutture si sono via via ingrandite divenendo anche più moderne ed efficienti ma senza mai spostarsi da quel luogo proprio a fianco all’antica porta del quartiere.

Il tempo trascorso ha però cambiato il rapporto e la percezione che abbiamo del nostro patrimonio storico, o per lo meno avrebbe dovuto farlo. Ciò che settant’anni fa era salutato come il progresso, un’opportunità per un futuro migliore, oggi appare ai nostri occhi come qualcosa di inconciliabile con una città che aspira a fare della sua bellezza la risorsa per un futuro migliore.

È difficile oggi osservare le mura dalla chiesa di San Carlo tollerando dall’altra parte queste torri lucenti. Forse è giunto il momento per la nostra città di riflettere su questa situazione e immaginare qualcosa di diverso. Ma attenzione, sarebbe sbagliato prendersela con quei silos, loro, chi li ha costruiti, chi ci lavora non hanno certo colpe. A ben vedere non ci sono nemmeno delle vere e proprie responsabilità ma semplicemente i tempi che cambiano e una sensibilità che negli anni muta. Allora si trattava di una risorsa oggi forse un freno per quello stesso quartiere, Pianoscarano, che dovrebbe aspirare ad essere la casa preferita dei viterbesi e ciò vale qui come in tanti altri angoli del centro.

C’è da auspicare quindi che le istituzioni possano trovare la consapevolezza prima e le risorse poi per trasformare questa situazione in una grande opportunità di rinascita per tutta quella zona di Viterbo facendolo però senza penalizzare chi lì lavora o chi per quell’attività ha investito tanti soldi.

Bisogna che la città inizi a porsi delle domande sul suo domani ponendo le basi per un piano a medio lungo termine che indirizzi lo sviluppo e il recupero del nostro patrimonio nei prossimi dieci-quindici anni. Perché una cosa è certa, se il futuro -come in molti, almeno a parole, pensano- vedrà protagonista il turismo, la città, così come oggi si presenta, non è assolutamente pronta a questa nuova sfida. Visto che occorreranno molti anni per esserlo sarebbe bene iniziare al più presto a pensare qualcosa di diverso.





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